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La SICILIA

«La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo... Ma quel che ne fa una terra necessaria a vedersi e unica al mondo, è il fatto che da un'estremità all'altra, essa si può definire uno strano e divino museo di architettura».
(Guy de Maupassant, "Viaggio in Sicilia", 1885)

«Sai tu la terra ove i cedri fioriscono?
Splendon tra le brune foglie arance d'oro
pel cielo azzurro spira un dolce zeffiro
umil germoglia il mirto, alto l'alloro...».
(J.W.Goethe, "evocazione")

«L'intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza Immaginazione?»
(Leonardo Sciascia)

La Sicilia, una delle isole più importanti del Mar Mediterraneo, è forse la terra che più delle altre offre uno dei migliori scenari culturali e folcloristici in grado di provocare nel visitatore grande suggestione ed emozione.

Culla di passate e varie dominazioni come quella dei remoti Fenici, Greci e Bizantini e dei “più vicini” Normanni, Spagnoli ed Austriaci.

Crocevia di miti, leggende e tradizioni sacre e profane millenarie dalle radici che affondano nelle tradizioni greche, nella religione e nelle più profane credenze popolari.

Queste sono solo alcune definizioni di tale isola che offre un’alta concentrazione artistica ed umana dai significati e contenuti elevati e profondi che contribuiscono ad aumentarne il fascino e la magnificenza.

Contribuiscono ad aumentarne l’importanza e l’imponenza, inoltre, la sua storia millenaria, il fatto d’essere la patria di filosofi, santi, artisti, scienziati e poeti, le sue tradizioni ed i suoi valori.

Se a tutto questo si unisce la maestosità delle sue caratteristiche ambientali, la bellezza del suo mare e delle sue montagne, lo splendore dei suoi monumenti, la bontà della sua cucina e la cordialità e forte senso dell’ospitalità dei suoi abitanti, si evince che la Sicilia offre uno scenario complessivo davvero unico nel suo genere.

Dove trae origine il simbolo della Trinacria? Gli studiosi sostengono che sia un antico simbolo religioso orientale che rappresentava il dio del sole nella sua triplice forma di primavera, estate e inverno, lo testimoniano remote monete (del VI e IV secolo a.C.)  Solo in epoca romana che la trinacria perde il suo significato religioso per diventare il simbolo geografico della Sicilia. A Palermo in qull'epoca la gorgone appariva sulle monete con tre gambe nel suo aspetto definitivo. A differenza della forma tonda di tutte le altre isole, la Sicilia ha una configurazione geografica diversa. Infatti è caratterizzata da tre promontori: Capo Peloro, Capo Passero e Capo Lilibeo i tre vertici formano quasi istintivamente un triangolo.

Le leggende ed i miti profani

La storia di Aretusa
Aretusa, figlia di Nereo e di Doride, amica della dea Diana, fu trasformata da quest’ultima in una fonte di acqua dolce che sgorga lungo la riva bagnata dalle acque del porto grande di Siracusa.

La metamorfosi fu attuata per sottrarre la timida ninfa alla corte del dio Alfeo. Costui, però, è la divinità fluviale, quindi scorrendo sotto le acque del mare Egeo, arriva in prossimità della fonte nella quale era stata trasformata la sua amata per consentire alle sue acque di raggiungere quelle della fonte stessa e quindi mescolarsi con loro.

In realtà, Alfeo era un piccolo fiume della Grecia che effettua un breve tragitto in superficie per poi scomparire sotto terra.

Quando i Greci trovarono la piccola sorgente nei pressi della fonte di Aretusa, trovarono la spiegazione fantasiosa alla scomparsa del fiume Alfeo in Grecia, che sarebbe riapparso in superficie in Sicilia.

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La leggenda di Aci e Galatea

Tale leggenda ha un’origine greca e spiega la ricchezza di sorgenti d’acqua dolce nella zona etnea.

Aci era un pastorello che viveva lungo i pendii dell’Etna.

Galatea, che aveva respinto le proposte amorose di Poliremo, lo amava. Poliremo, offeso per il rifiuto della ragazza, uccide il suo rivale nella speranza di conquistare la sua amata.

Ma Galatea continua ad amare Aci.

Nereide, grazie all’aiuto degli dèi, trasforma il corpo morto di Aci in sorgenti d’acqua dolce che scivolano lungo i pendii dell’Etna.

Non lontano dalla costa, vicino l’attuale Capo Molini, esiste una piccola sorgente chiamata dagli abitanti del luogo "il sangue di Aci" per il suo colore rossastro.

Sempre nei pressi di Capo Molini esisteva un modesto villaggio chiamato, in memoria del pastorello, Aci.

Nell’undicesimo secolo dopo Cristo un terremoto distrusse il villaggio, provocando l’esodo dei sopravvissuti che fondarono altri centri. In ricordo della loro città d’origine, i profughi vollero chiamare i nuovi centri col nome di Aci al quale fu aggiunto un appellativo per distinguere un villaggio dall’altro. Si spiega così, ad esempio, l’esistenza di Aci Castello (appellativo dovuto alla presenza di un castello costruito su di un faraglione che poi fu distrutto da una colata lavica nell’XI secolo) ed Acitrezza (la cittadina dei tre faraglioni).

La storia di Colapesce

Cola o Nicola è di Messina ed è figlio di un pescatore di Punta Faro. Cola ha la grande passione per il mare. Amante anche dei pesci, ributta in mare tutti quelli che il padre pesca in modo da permettere loro di vivere. Maledetto dalla madre esasperata dal suo comportamento, Cola si trasforma in pesce. Il ragazzo, che cambia il suo nome in Colapesce, vive sempre di più in mare e le rare volte che ritorna in terra racconta le meraviglie che vede. Diventa un bravo informatore per i marinai che gli chiedono notizie per evitare le burrasche ed anche un buon corriere visto che riesce a nuotare molto bene. Fu nominato palombaro dal capitano di Messina. La sua fama aumenta di giorno in giorno ed anche il Re di Sicilia Federico II lo vuole conoscere e sperimentarne le capacità. Al loro incontro, il Re getta una coppa d’oro in mare e chiede al ragazzo di riportargliela. Al ritorno Colapesce gli racconta il paesaggio marino che ha visto ed il Re gli regala la coppa. Il Re decide di buttare in mare la sua corona ed il ragazzo impiega due giorni e due notti per trovarla. Al suo ritorno egli racconta al Re d’aver visto che la Sicilia poggia su tre colonne, una solidissima, la seconda danneggiata e la terza scricchiolante a causa di un fuoco magico che non si spegneva. La curiosità del Re aumenta ancora e decide di buttare in acqua un anello per poi chiedere al ragazzo di riportarglielo. Colapesce è titubante, ma decide ugualmente di buttarsi in acqua dicendo alle persone che avessero visto risalire a galla delle lenticchie e l’anello, lui non sarebbe più risalito. Dopo diversi giorni le lenticchie e l’anello che bruciava risalirono a galla ma non il ragazzo, ed il Re capì che il fuoco magico esisteva davvero e che Colapesce era rimasto in fondo al mare per sostenere la colonna corrosa.

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La storia di Scilla

Scilla, figlia di Crateide, era una ninfa stupenda che si aggirava nelle spiagge di Zancle (Messina) e fece innamorare il dio marino Glauco, metà pesce e metà uomo. Rifiutato dalla ninfa, il dio marino chiede l’aiuto della maga Circe, senza sapere che la maga stessa era innamorata di lui.

La maga, offesa per il rifiuto del dio marino alla sua corte, decide di vendicarsi preparando una porzione a base di erbe magiche da versare nella sorgente in cui Scilla si bagna usualmente.

Appena Scilla si immerge, il suo corpo si trasforma e la parte inferiore accoglie sei cani, ciascuno dei quali con una orrenda bocca con denti appuntiti. Tali cani hanno dei colli lunghissimi a forma di serpente con cui possono afferrare gli esseri viventi da divorare.

A causa di questa trasformazione, Scilla si nasconde in un antro presso lo stretto di Messina. Decide anche di vendicarsi di Circe privando Ulisse dei suoi uomini mentre lui stava attraversando lo stretto. Successivamente ingoia anche le navi di Enea.

La leggenda vuole che Eracle, attaccato dalla ninfa mentre attraversa l’Italia con il bestiame di Gerione, la uccide, ma il padre della ragazza riesce a richiamarla in vita grazie alle sue arti magiche.

Il suo nome ricorda “colei che dilania”. Insieme a Cariddi, per i greci impersona le forze distruttrici del mare. Queste due divinità, localizzate tra le due rive dello stretto di Messina, rappresentano i pericoli del mare.

La storia di Cariddi

Tale mostro impersona, nell’immaginario collettivo, un vortice formato dalle acque dello stretto. Tale ninfa mitologica greca è figlia di Poseidone e di Gea ed era tormentata da una grande voracità. Giove la scaglia sulla terra insieme ad un fulmine. E’ abituata a bere grandi quantità di acqua che poi ributta in mare Anche in questo caso, come il precedente, il passaggio di Eracle dallo stretto di Messina insieme all’armento di Gerione è provvidenziale: quando essa gli rubò alcuni buoi per divorarli, Giove la colpisce con il fulmine e la ninfa precipita in mare trasformata in un mostro. Il primo a raccontare questo mito fu Omero spiegando che Cariddi si trova di fronte a Scilla. Anche Virgilio parla di Cariddi nel suo poema Eneide.

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La storia della Fata Morgana

La leggenda ci tramanda che, dopo aver condotto suo fratello Artù ai piedi dell'Etna, Morgana si trasferisce in Sicilia tra l'Etna e lo stretto di Messina, dove i marinai non si avvicinano a causa delle forti tempeste, e si costruisce un palazzo di cristallo. Sempre in base alla leggenda, Morgana esce dall'acqua con un cocchio tirato da sette cavalli e getta nell'acqua tre sassi, il mare diventa di cristallo e riflette immagini di città. Grazie alle sue abilità, la Fata Morgana riesce ad ingannare il navigante che, illuso dal movimento dei castelli aerei, crede di approdare a Messina o a Reggio, ma in realtà naufraga nelle braccia della fata. La Fata Morgana non è altro che un fenomeno ottico che si ammira spesso nello stretto di Messina e nell'isola di Favignana a causa di particolari condizioni atmosferiche. Guardando da Messina verso la Calabria, si vede come sospesa nell'aria l'immagine di Messina e, viceversa, guardando da Reggio Calabria verso Capo Peloro, si vede nello stretto Reggio.

La storia di Mata e Grifone

A Messina viveva una bella ragazza dalla grande fede cristiana, figlia di re Cosimo II da Casteluccio; il suo nome Marta in dialetto si trasforma in Matta o Mata. Verso il 970 dopo Cristo il gigante moro Hassan Ibn-Hammar sbarcò a Messina, con i suoi compagni pirati e incominciò a depredare nelle terre in cui passava. Un giorno il moro vide la bella fanciulla e se ne innamora, la chiede in sposa ma ottiene un rifiuto. Ciò provocò l'ira del pirata che uccise e saccheggiò più di prima. I genitori, preoccupati, nascosero Marta, ma il moro riuscì a rapirla con la speranza di convincerla a sposarlo. Marta non ricambiava il suo amore trovando nella preghiera la forza a sopportare le pressioni del moro. Alla fine, il moro si converte al cristianesimo e cambia il suo nome in Grifone. Marta apprezza il gesto e decide di sposarlo. La tradizione ci tramanda che furono loro a fondare Messina.

La leggenda del gigante Tifeo

E’ la leggenda che stabilisce che la Sicilia è sorretta dal gigante Tifeo che, osando impadronirsi della sede celeste, fu condannato a questo supplizio.

Con la mano destra sorregge Peloro (Messina), con la sinistra Pachino, Lilibeo (Trapani) poggia sulle sue gambe e sulla sua testa l'Etna. Tifeo vomita fiamme dalla bocca. Quando cerca di liberarsi dal peso delle città e delle grandi montagne la terra trema.

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La leggenda del cavallo senza testa

Nasce nella Catania del 700. Leggenda ambientata nella Via Crociferi ed in passato residenza di nobili che vi tenevano i loro notturni incontri o intrighi amorosi che dovevano esser tenuti nascosti. Quindi, essi fecero circolare la voce che di notte vagasse un cavallo senza testa, voce che intimorì la cittadinanza ed impediva alle persone di uscire di casa una volta calate le tenebre. Soltanto un giovane scommise con i suoi amici che ci sarebbe andato nel cuore della notte, e, per provarlo, avrebbe piantato un grosso chiodo sotto l’Arco delle Monache Benedettine. Gli amici accettarono la scommessa ed il giovane si recò a mezzanotte sotto l’arco delle monache, e vi piantò il chiodo ma non si accorse di avere attaccato al muro anche un lembo del suo mantello, quindi, quando volle scendere dalla scala, fu impedito nei movimenti e, credendo d’esser stato afferrato dal cavallo senza testa, morì. Pur vincendo la scommessa, la leggenda fu confermata.

La leggenda di Pippa la catanese

Popolana e lavandaia d’origine catanese, visse a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. Il suo vero nome era Filippa. Giovanissima, diventa nutrice di Luigi, figlio di Roberto d’Angiò e Violante d’Aragona. Allorché gli Angioini furono cacciati dalla Sicilia e ritornarono a Napoli, Pippa seguì la Corte. Nel 1343 sul trono salì Giovanna I d’Angiò che aveva sposato il principe Andrea d’Ungheria che volle essere consacrato re di Napoli. I numerosi dissidenti facevano affidamento sull’antipatia che la sovrana, innamorata del cugino Luigi duca di Taranto, nutriva per il marito contro il quale fu ordita una congiura; in effetti, Andrea fu strangolato. Il Papa, supremo signore feudale sul Regno di Napoli, cominciò la caccia dei congiurati; la prima ad essere indiziata fu Pippa che era diventata confidente della Regina. L’ex lavandaia fu atrocemente torturata, per farle confessare quanto sapeva e la donna disse solo di sapere della congiura ma di non avervi partecipato. Coloro che avevano assassinato Andrea restarono impuniti.

Il clima della Sicilia - il ratto di Proserpina

Cerere, sorella di Giove e dea che aveva insegnato agli uomini come coltivare i campi, era la madre della bella Proserpina, amante dei fiori.

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La leggenda mitologica ricorda che un giorno di primavera il Dio Plutone rimase colpito dalla vista della giovane Proserpina, se ne innamora e la rapisce portandosela negli inferi. Plutone era il più odiato fra gli dei, perché il suo regno era quello delle ombre. Proserpina era morta con lui e tutto ciò era avvenuto con il consenso di Giove. Plutone, in onore della sposa, aveva creato la fonte azzurra Ciana.Il ratto fu così improvviso che nessuno seppe informare bene la madre della ragazza, Cerere che per tre giorni e tre notti la cercò ininterrottamente per tre giorni e tre notti. La verità le fu rivelata da Elios, il dio Sole, che le confessò anche il consenso di Giove agli eventi.

Alla fine, Cerere si adirò e cominciò a far soffrire gli uomini provocando siccità, carestie e pestilenze. Gli uomini, privati dell’aiuto della Madre Terra, chiesero aiuto a Giove. Ma Proserpina aveva gustato il melograno, simbolo d'amore, donatole da Plutone e quindi a tuttii gli effetti sua sposa, e non poteva più tornare definitivamente da sua madre. Giove, commosso dal dolore della sorella, risolse il problema decidendo che Proserpina stesse per otto mesi, da gennaio ad agosto, sulla terra assieme alla madre; e per quattro mesi da settembre a dicembre, sotto terra col marito Plutone, creando così l’alternanza di due stagioni nel clima della Sicilia. La leggenda spiega che Proserpina risalga alla terra in primavera per portare all’isola l’abbondanza e per poi scompare ai primi freddi invernali.

Gli scongiuri del popolo siciliano

Tra le credenze popolari c’è la convinzione che dei poteri soprannaturali possono difendere e proteggere e per questo esistono vari scongiuri: contro il malocchio, contro varie malattie come quelle degli occhi e quelle esantematiche dei bambini, contro gli animali nocivi e le tempeste e per le questioni amorose. Buona parte di queste credenze popolari sono oggi raccolte nel Museo Etnografico Siciliano a Palermo, Museo fortemente voluto da Giuseppe Pitrè.

La pantofola della regina Elisabetta

Maletto è in provincia di Catania. Quando nel 1603 i diavoli gettarono la regina dentro il cratere dell’Etna sulla rupe "Rocca Calanna" cadde una pantofola della regina Elisabetta.

Molto tempo dopo, un pastorello ritrova tale pantofola, la volle toccare, ma si bruciò.

Fu chiamato un frate esorcista e la pantofola volò su una torre del castello di Maniace, presso Bronte.

Nel 1799 tale castello fu donato dai Borbone all’ammiraglio inglese Orazio Nelson, durante una festa da ballo a Palermo. In quell’occasione una dama misteriosa, si dice il fantasma della regina Elisabetta, donò a Nelson un cofanetto contenente la fatidica pantofola; e gli raccomandò di non farla mai vedere a nessuno.

Ma l’amante dell’ammiraglio, Emma Hamilton, riesce a trafugarla. La stessa notte l’ammiraglio vede in sogno la misteriosa dama che gli ricorda che ha perso tutta la sua nfortuna. Pochi giorni dopo Nelson morì nella battaglia di Trafalgar, esattamente il 21 ottobre 1805.

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La leggenda della bella Angelina
Spiega il toponimo di Francavilla di Sicilia (ME)La leggenda popolare racconta della nobile fanciulla Angelina di cui era innamorato il delfino di Francia. Questi, durante il Vespro, la rapì ed Angelina raccomanda alla sua ancella Franca di vegliare (Franca, vigghia!), per essere pronte al momento dell’atteso segnale di partenza.

La leggenda dei due fratelli
Spiega l’origine del monte Mojo, in provincia di Messina, monte che ha l’aspetto di un cumulo di grano.

Essa parla di due fratelli, di cui uno era cieco e l’altro profittatore il quale, al momento della spartizione del grano, cercava di imbrogliare il fratello cieco riempiendo il moggio completamente quando toccava a lui e dal fondo quando toccava al fratello cieco. Quest’ultimo, passando la mano sul misero mucchio, si raccomandava agli occhi del Signore che attuò le giuste vendette: alla fine della fraudolenta spartizione una folgore bruciò il fratello ladro e trasformò il mucchio di frumento nell’attuale monte Mojo.

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Fondachello (aerei in volo)
da Capo Taormina (vista di Delfini)
Museo Eoliano Lipari Messina
Concerto di Joe Cocker nel 2002 al Teatro Greco di Taormina